Google ha al suo attivo così tanti brevetti che si fa una certa fatica a stargli dietro ed è quasi un’attività che bisognerebbe fare a tempo pieno, se non fosse che i vari brevetti depositati certo non sono una indicazione di come l’algoritmo funziona allo stato “attuale”.
Tuttavia sono un chiaro segnale di come l’algoritmo potrebbe aver funzionato o di come potrebbe ben presto funzionare. Ed è dello stesso parere Bill Slawski con il suo articolo sulle categorie utilizzate come fattore di ranking.
Nel patent americano 7.814.085 concesso a Google il 12 di ottobre scorso, si parla di un sistema di classificazione dei documenti basato su un sistema che assocerebbe i documenti ad un insieme di categorie.
Immaginiamoci un sistema tipo DMOZ, che alla base del suo concetto ha delle categorie nelle quali l’utente sceglie dove meglio il suo sito andrebbe collocato. Espandiamo il concetto, ed il gioco è fatto. Se ci pensiamo bene il sistema può funzionare. Il problema di fondo è che non è detto che un sito venga correttamente attribuito ad una categoria, perchè spesso e volentieri la tassonomia utilizzata potrebbe generare delle confusioni.
Pensiamo ad un abito da sposa. Questi potrebbero benissimo ricadere in due o più categorie quali ad esempio Acquisti > Vestiti > Cerimonia
oppure Moda > Eventi
.
Come fa Google a capire qual’è la categoria più appropriata?
Il motore si deve necessariamente basare su altri fattori e da qui la tanto discussa implementazione semantica (che Google sta inseguendo da anni), di cui ogni tanto si vedono sprazzi nell’algoritmo e nei vari servizi che offre magari un pò sottobanco come la Whonder wheel.
Quale è il punto SEO?
Ovviamente lo scopo di questo articolo non era quello di ricalcare con una volgare traduzione quanto Bill ha scritto, piuttosto dare la mia visione quale operatore del settore.
L’esigenza di affermare un sito web per la corretta nicchia di mercato é una esigenza che esiste da quando esiste la SEO. E questa esigenza sta diventando ogni giorno sempre piu’ marcata.
Per tale ragione fornire i giusti segnali e fare in modo che i motori di ricerca siano capaci di restituire il nostro sito nei momenti più opportuni (aka query) è di primaria importanza.
Ricollegandoci all’esempio di cui sopra, possiamo notare come la categoria “moda” in quel contesto si riferisce ad un evento, ma potrebbe benissimo essere associata all’acquisto di un vestito all’ultimo grido e firmato.
Ma di cosa si occupa il sito web che stiamo promuovendo? Si tratta di un semplice rivenditore o un sarto che confeziona vestiti su misura, che magari per quanto belli non hanno nulla a che fare con i modelli dei cataloghi di moda, oppure parla di eventi e sfilate di moda dove gli abiti da sposa sono la chiave portante?
E’ opportuno correre il rischio – perché di rischio si tratta - di convogliare un elevato numero di visitatori che non interessati al nostro prodotto abbandonerebbero il nostro sito nel giro di pochi istanti?
A mio avviso no.
Quali sono i fattori da trasmettere a Google (e agli altri motori)?
La risposta giusta è la risultanza di ciò che la tassonomia e la SEO riescono a mettere assieme.
Tuttavia affronterò meglio questo argomento la prossima volta, cercando di essere dettagliato a sufficienza, ma al tempo stesso evitando di annoiarvi a morte.
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