E ci siamo nuovamente, purtroppo con un’affermazione pesante se vogliamo, ma non si può negare l’evidenza.
Di cosa sto parlando? Dell’ennesima sentenza di una corte di giustizia, questa volta da parte del Tribunale di Milano, che ha imposto a Google di rimuovere i suggerimenti automatici per una specifica persona, obbligando la rimozione di ogni associazione del nome di questa persona a termini come “truffa”.
In realtà non è un caso affatto nuovo, ed infatti già lo scorso anno in Francia era successa la medesima cosa, ovvero un tribunale francese aveva ordinato a Google di rimuovere l’associazione con la parola arnaque - che vuol dire scam, ovvero truffa.
Non sto ad andare oltre nei dettagli, visto che il mio amico Sean, ne ha disquisito più che bene nel suo articolo, parlando tra le altre cose di cosa Google Suggest o Completamento automatico voglia dire anche nei confronti della Brand reputation.
Serendipity è un algoritmo, ma per fini di lucro
Ho cercato di analizzare questa cosa sotto diversi punti di vista, ma la mia ultima domanda arrivava sempre allo stesso punto. Se il suggerimento automatico è frutto di un’operazione algoritmica basata anche sulle query effettuate dagli utenti, quindi basato su cose cui gli utenti sono maggiormente interessati, che senso ha questa forzatura inutile?
A mio avviso non ha alcun senso, eppure per la Corte milanese “Si tratta di una scelta che ha chiaramente una valenza commerciale ben precisa, connessa con l’evidenziata agevolazione della ricerca.”
Un altro caso di ignoranza in materia?
Penso proprio che siamo di fronte all’ennesimo caso di ignoranza, perchè altrimenti non mi spiego come e dove vi siano valenze commerciali e dove sia il beneficio ultimo di Google nel fornire questi suggerimenti. Lo dovrebbero sapere anche i sassi, i motori di ricerca guadagnano grazie agli inserzionisti che utilizzano i canali di display advertising, e una query come “nome cognome truffa” non è certo oggetto di contendere.
Quindi Google, nel caso specifico, sta semplicemente adempiendo a quello che è il suo secondo fine: dare uno strumento per “fare informazione”.
Perchè lamentarsi se si potrebbe cogliere la palla al balzo?
Questi soggetti (nel bene o nel male), invece di lamentarsi e cercare ripari legali dovrebbero farsi più scaltri e cercare di arginare il problema in modo inverso, promuovendo la propria immagine su Internet con attività di web marketing?
Se fossero dalla parte del torto, queste persone potrebbero beneficiare della “bolla” o dallo scoop del momento; se fossero nel giusto, non farebbero altro che rafforzare il loro brand (o il loro nome), attività che nel lungo periodo si rivelerebbe sicuramente utile per loro.
Del resto, se ci si riflette, se l’argomento “nome cognome truffa” è già stato trattato e quindi è stato reso pubblico su qualche sito web, è assai facile che qualche motore abbia già indicizzato la/le pagine in questione, e pertanto qualcuno alla fine vi cliccherà sopra e leggerà le informazioni contenute nella pagina stessa.
La legge non è uguale per tutti!
In che modo quindi i vari tribunali imponendo a Google di censurare la componente di ricerca serendipity possono arginare questo problema? Non possono, semplice!
E in che modo, invece, la giustizia può preservare il suo compito di arbitro e mitigare possibili effetti collaterali che si potrebbero scaturire in un secondo momento? Non può, non imponendo certi tipi di censura.
Francamente, l’apprendere questa notizia ancora una volta mi ha lasciato basito e sempre più dell’opinione che la legge non è uguale per tutti. Ma del resto, questo avvicendamento di leggi plasmate ad uso e consumo di pochi, sembrano essere una cosa all’ordine del giorno per la giurisdizione italiana.
E voi, cosa ne pensate?